Chi se ne frega se ancora ci vive benissimo: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… anzi no, devi sostituirle.
E nel caso poi decidesse di non obbedire, c’è sempre un ricatto sotto forma di una bella tassa per la classe energetica non adeguata e l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta.
Zitto e paga (o per nuovi acquisti o per le imposte ma devi pagare!).
«Lo devi fare per la salute del pianeta» ci dicono. Ovvero come quando alcuni genitori dicono ai figli «lo faccio per il tuo bene».
La nostra società occidentale tende maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e della perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro dal piatto sbeccato, dal pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
Poi arriva anche il metodo ancora più subdolo dell’“obsolescenza programmata” ovvero quella strategia commerciale decisamente scorretta e disonesta, per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli.
Fino a qualche tempo fa quando una lavatrice, una lavastoviglie, una aspirapolvere si ribellava e non funzionava più, si chiamava il tecnico e sostituiva il pezzo. Ora il tecnico, ci informa che non si può più aggiustare e, con una pacca sulla spalla, ci dice: «guardi… se lo acquista nuovo spenderà meno della sostituzione del pezzo!».
E le auto? Le normative ambientali europee ci obbligano a cambiare la nostra auto che abbiamo da dieci anni ma che ancora cammina perché su di essa grava la colpa dell’allargamento del buco dell’ozono. E chi se ne frega se – seppur con qualche scricchiolio – funziona ancora perfettamente!
E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.
Dovremmo prendere esempio dall’antica cultura del Giappone del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, le riempiono con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della lunga storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, segno della sua bellezza imperfetta. Per me tutto questo è straordinario!
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante.
Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione